Consumi consapevoli

I prodotti agricoli

L’uomo iniziò a coltivare nell’era neolitica, circa 10.000 anni fa, passando da cacciatore ad agricoltore e iniziando a costruire i primi villaggi sfruttando questa risorsa in grado di sfamare molte persone. Da quel momento il corso della storia cambiò radicalmente, e possiamo definire l’introduzione dell’agricoltura una vera e propria rivoluzione. Per secoli e millenni l’uomo mantenne quindi un forte legame con la terra, ed è solo a partire dall’800, con la rivoluzione industriale, che l’agricoltura iniziò ad assumere caratteri sempre più meccanici, per aumentarne la produttività e per far fronte al crescere della popolazione umana. Ma la vera trasformazione del volto dell’agricoltura avvenne negli anni 50 del 900, con il passaggio all’agricoltura intensiva su larga scala, trasformando l’agricoltura in industria agro-alimentare. Ma a quale prezzo?

Prendiamo ad esempio il caso del grano.

Non c’è bisogno di essere imprenditori agricoli per capire che un Kg di pasta di grano duro non può costare meno di 0,70 centesimi di euro al Kg. Se la vendono a tale prezzo c’è qualche cosa che non funziona. Facciamo quattro conti, ricostruendo la filiera della pasta: costi per la lavorazione dei terreni, costo delle sementi e costo della semina, costo del diserbo e delle disinfestazioni, costi per la mietitrebbiatura, costi per lo stoccaggio del grano, costi della lavorazione (da grano a farina, da farina a pasta) e costi per la distribuzione. Bisogna infine considerare che chi vende al dettaglio deve poi guadagnarci qualcosa. Quindi come di può giustificare questo prezzo? Semplice, il grano utilizzato non è italiano, perché produrlo in Italia, con gli attuali costi della vita, implicherebbe un prezzo più alto.

La maggior parte del nostro grano viene importato dal Canada ma si tratta di grano di pessima qualità! E' ricco di micotossine e di residui di pesticidi, in particolare di glifosato, un erbicida cancerogeno per l’uomo. In Canada questo grano viene destinato agli animali, oppure esportato nelle altre parti del Mondo, Italia in primis dove in media, tra pasta, pane, pizze, dolci si ingeriscono ogni anno 130 chilogrammi di derivati del grano. Da qui l’aumento di malattie: Morbo di Crohn, Parkinson, Autismo e altre patologie autoimmuni. E anche la Gluten sensitivity, scambiata per Celiachia. Non è grano, è un rifiuto tossico, eppure lo troviamo nei cibi che mangiamo quotidianamente! Vogliamo risparmiare sempre più, ed ecco cosa si nasconde dietro quei pochi cents di una merendina.

Forse vale davvero la pena spendere qualche euro in più, guadagnando in qualità, magari riducendo le quantità, considerando che poi molto cibo viene sprecato perché non consumato in tempo. Fidiamoci dei marchi di qualità: DOP, IGP, Biologico.

I prodotti DOP e i prodotti IGP si identificano per le caratteristiche peculiari legate all’applicazione puntuale di un disciplinare di produzione, di cui sia comprovata l’origine “storica” nel territorio dichiarato nella denominazione. i prodotti DOP e i prodotti IGP sono soggetti a controllo di conformità al disciplinare di produzione e vigilanza sulla commercializzazione, garantendo la tutela del consumatore.
La differenza fra prodotti DOP e prodotti IGP, sta nel fatto che, nel caso del prodotti DOP, tutto ciò che concerne l’elaborazione e la commercializzazione del prodotto ha origine nel territorio dichiarato; mentre nel caso del prodotto IGP, il territorio dichiarato conferisce al prodotto le sue caratteristiche peculiari, ma non tutti i fattori che concorrono all’ottenimento del prodotto provengono dal territorio dichiarato. Così, ad esempio, la Bresaola della Valtellina è prodotto IGP e non prodotto DOP perchè ottenuta da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando, nel corso della stagionatura, del clima particolarmente favorevole della zona.

L'agricoltura biologica è un metodo di produzione che si rifà ad un regolamento disciplinato dall'Unione Europea CE 834/07.
Si distingue dall'agricoltura definita convenzionale per la scelta consapevole di non utilizzare input esterni di sintesi (prodotti quali fertilizzanti, insetticidi, diserbanti, anticrittogamici, pesticidi, farmaci, eccetera) pericolosi per la salute di persone e ambiente, né modalità agricole irrispettose dei diritti degli animali e dei cicli biologici degli ecosistemi naturali. Il biologico infatti si estende anche all’allevamento. Quando si parla di agricoltura biologica ci sono dei parametri principali ai quali tutte le aziende devono attenersi:

  1. Scelta di specie resistenti alle caratteristiche del clima locale, con preferenza per le specie autoctone.
  2. Rotazione delle colture: è una tecnica agricola basata sul non coltivare la stessa specie di piante sullo stesso terreno consecutivamente per più stagioni al fine di prevenire l'insorgenza di parassiti e malattie legati alle singole specie, ed in più, tramite la rotazione delle colture, i principi nutritivi del terreno non vengono depauperati ma possono di stagione in stagione riformarsi, in quanto le differenti coltivazioni consumano ed apportano sostanze ed elementi differenti di volta in volta.
  3. Consociazione: consiste nel coltivare piante diverse affiancate l'una all'altra secondo combinazioni di specie favorevoli ad entrambe. Un esempio: cipolla e carota si aiutano reciprocamente respingendo ognuna i parassiti specifici dell'altra.
  4. Uso di siepi e alberi per creare passaggi e delimitazioni di confine in grado di ospitare predatori dei vari parassiti delle piante (ricci di macchia, uccellini, pipistrelli, rane eccetera) e di fungere da barriera fisica contro l'inquinamento atmosferico.
  5. Lotta biologica: introduzione di insetti utili a contrastare i vari parassiti dannosi delle coltivazioni biologiche.

Sebbene la produttività sia minore, e i prezzi ancora più alti rispetto a quelli provenienti da agricoltura tradizionale, i vantaggi per la nostra salute e per l’ambiente sono molteplici:

  • Assenza di organismi geneticamente modificati;
  • Nessun prodotto chimico di sintesi in nessuna fase agricola (produzione, coltivazione, trasformazione);
  • Aumento della biodiversità;
  • Fertilizzazione con concimi naturali di origine organica o minerale;
  • Mantenimento degli equilibri del terreno con tecniche agricole non aggressive come scassi e arature profonde;

Guarda il video: The organic effect

I prodotti dell'allevamento

L’allevamento e l’agricoltura accompagnano l’uomo da oltre 10.000 anni, ma negli ultimi 150 anni qualcosa è profondamente cambiato nel rapporto tra gli uomini, la terra e l’allevamento. L’approccio industriale, che ha trasformato l'allevamento in “zootecnia” ovvero scienza dello sfruttamento delle produzioni animali, ha trasferito a questo settore i principi industriali dell’economia di scala e la meccanizzazione. Il pascolo all’aperto e l’erba sono stati soppiantati da mangimi a base di soia e mais, da consumare in stabulazione fissa, senza più legami con il trascorrere delle stagioni e la disponibilità di erba fresca. Le razze locali, più resistenti ma meno produttive e bisognose di pascoli all’aria libera, sono state sostituite da incroci selezionati per massimizzare le produzioni di latte o di carne o di uova. Le fattorie polivalenti, dove si allevavano più specie e dove si coltivava o raccoglieva il cibo per gli animali che restituivano in letame per la concimazione dei campi, sono state sostituite da stabilimenti specializzati giganti, in cui sono allevati migliaia e migliaia di capi accuditi da poche decine di operai. L’affollamento ha spinto gli allevatori a trattare preventivamente con antibiotici gli animali per contrastare l’inevitabile sviluppo di patologie. Le condizioni complessive di vita degli animali ne hanno risentito in modo pesantissimo: la vita degli animali è più breve, gli animali si ammalano di più, gli spazi a disposizione sono ristretti e soffocanti, la relazione con l’allevatore è stravolta e ridotta.

I bovini usati per secoli per lavorare la terra, fornire latte e, per lo più a fine carriera, carne per l’alimentazione dell’uomo, con il quale vivevano spesso fianco a fianco, sono diventati una risorsa da crescere in una decina di mesi a bassi costi, con l’obiettivo di finire sul mercato al prezzo più basso possibile. Ma che prezzo veramente si paga quando addentiamo un hamburger da 5 euro?

Un hamburger comporta la deforestazione di 6 mq di foresta tropicale e un uso di 2500 litri di acqua. Ma a cosa è dovuto questo massiccio impiego di risorse? Bisogna partire dal fatto che gli erbivori sono inefficienti “macchine” (così d’altronde e purtroppo vengono oggi considerati) di proteine: per ottenere un chilo di carne di manzo attraverso l'allevamento intensivo sono necessari circa 15 chili di cereali e soia e 15.000 litri d'acqua! E un bovino produce un’enorme quantità di deiezioni (di circa 30-40 persone) che devono essere smaltite. Questo comporta uno spreco enorme di terreni fertili, energia ed acqua oltre all'emissione di sostanze chimiche, altri inquinanti e gas serra. Senza parlare dell’enorme impatto sociale.

Sebbene la dieta vegetariana e vegana stia diventando sempre più diffusa, i dati della FAO sul consumo di carne nel mondo indicano che il consumo di carne pro capite è in costante crescita. Nel 2013 si attestava a oltre 40 Kg pro capite annuo. Marco Springmann, ricercatore all'università di Oxford, ha calcolato che se tutto il mondo smettesse di mangiar carne entro il 2050, le emissioni dovute alla produzione di cibo calerebbero del 60% (70% se vegani).

Senza ricercare soluzione estreme, si può continuare a consumare carne, ma certamente in maniera più consapevole: ridurne il consumo a 1-2 porzioni a settimana (quindi circa 300-500 g alla settimana, 1,2-2 kg al mese, 15-24 kg all’anno), secondo quanto consigliato anche dalla Dieta Mediterranea, patrimonio UNESCO immateriale dell’umanità (tra l’altro), e prediligere carne allevata localmente e secondo un metodo biologico, estensivo e grass-fed (nutrito a erba e a pascolo per l’intero ciclo di vita). Così si salvaguardia l’ambiente e si rispetta anche l’animale, che non è una macchina, ma è un essere senziente tanto quanto noi.

Le stesse valutazioni in fase di acquisto valgono anche per la carne bianca (pollo, tacchino, coniglio), per i prodotti caseari (latte e derivati) e per le uova.

Negli allevamenti biologici pesticidi e antibiotici sono molto ridotti, essendoci un numero massimo di utilizzi durante l’anno. Per la cura degli animali si utilizza preferibilmente l’omeopatia. Con questa tecnica essi ci metteranno di più a guarire, ma sarà a favore della qualità della carne e delle uova. Anche nei mangimi c’è differenza: quelli forniti in ambito biologico sono a loro volta biologici e le piante di cui si nutrono i polli e le mucche non hanno concimi e pesticidi chimici. Soprattutto, ci sono meno capi per cm2, garantendo una minore incidenza di malattie e di stress, producendo una carne e prodotti più saporiti e soprattutto più sani.

Per le uova, molto importante è sapere leggere la dicitura riportata sul guscio e sulla confezione. La prima cifra indica infatti la tipologia d'allevamento da cui proviene l'uovo, in particolare:

3- Allevamento in gabbia o in batteria: Si tratta di un allevamento effettuato esclusivamente in gabbie di filo di ferro alte almeno 40 cm, con una superficie di 750 cm² per singola gallina (circa 14 per m). Ogni animale ha a disposizione delle vaschette per l’acqua ed il mangime su una lunghezza di almeno 10 cm. La luce artificiale viene utilizzata a cicli e non in continuo, in modo tale che l'animale possa riposare dopo ogni periodo di attività.

2-Allevamento a terra. Per allevamento a terra si intende la conduzione delle galline ovaiole in grandi capannoni nei quali esse possono muoversi “liberamente”. La densità di polli per m² non può superare il numero di sette, ed il pavimento del pollaio deve venire sparso per almeno un terzo della sua superficie con granaglie che permettano ai polli di beccare e razzolare. La covata delle uova avviene in nidi comuni, mentre per il mangime e l’acqua sono disponibili vaschette di dimensioni analoghe a quelle previste per l’allevamento in batteria. Spesso le grandi marche associano “allevamento a terra” con disegni di prati e fiori…Ma non è per niente così, la prossima volta che andare al supermercato osservate il marketing ingannevole del mercato delle uova.

1- Allevamento all’aperto. Garantisce il maggior rispetto per la specie avicola nell’ambito dell’allevamento commerciale. In questo caso le galline ovaiole hanno a disposizione una stalla che deve soddisfare le stesse caratteristiche viste per l’allevamento a terra, ma in più gli animali possono spostarsi dalla stalla verso uno spazio all’aperto e viceversa. Per ogni ettaro a cielo aperto possono essere tenuti un massimo di 2.500 polli: si ha cioè una superficie per singolo animale che tocca i 4 m².

0-Allevamento biologico. Nell’allevamento biologico gli animali devono avere sempre a disposizione dei piccoli stagni nei quali poter sguazzare, e nel pollaio sono presenti anche dei galli. Il mangime è di esclusiva provenienza biologica controllata, e costituito principalmente da cereali e mais. L’impiego di additivi per favorire la crescita, amminoacidi sintetici, mangimi modificati geneticamente, farine di pesce è severamente vietato. I pulcini devono essi stessi provenire da allevamenti biologici.

Guarda il video: Il macellaio grass-fed

Guarda il video: L'insostenibile produzione di uova

Guarda il video: La crudeltà dell'industria del latte

Pesca sostenibile

Nonostante siano ben note le proprietà salutistiche del pesce, la sua presenza sulle tavole delle famiglie italiane non è ancora sufficiente. Come mai? Facile trovarlo già cotto e senza spine nel piatto del ristorante. Un po’ più complicato quando invece siamo noi a doverlo cucinare e soprattutto comprare. I problemi con il pesce iniziano, infatti, davanti al banco della pescheria. “Meglio pescato o di allevamento?” “Sarà davvero fresco?” “Quali pesci è meglio acquistare in inverno?” Sono solo alcune delle domande che assalgono i consumatori disorientati di fronte al bancone del pescivendolo.
Saper scegliere il pesce da portare in tavola è però fondamentale per la nostra salute e anche per la conservazione della biodiversità.Oggi le condizioni dei mari e delle diverse specie ittiche sono particolarmente critiche: si pesca sempre più e male, in mari sempre più inquinati. Inoltre, nonostante l’imposizione di severe regole sui metodi di cattura e sui periodi consentiti per la pesca, in media un pesce su quattro che si trova in vendita non è a norma. Dobbiamo quindi imparare a conoscere quello che mettiamo nel piatto.

È fondamentale essere consapevoli che le nostre scelte alimentari hanno un forte impatto sull’ecosistema marino. Basti pensare che nel Mar Mediterraneo le specie commestibili sono 300, più alcune decine di molluschi e crostacei. Di queste però se ne catturano, in grandi quantità, solo alcune, mettendo sotto stress un delicato equilibrio e rinunciando a un’ampia varietà di gusti.
E non è finita qui! Nonostante queste risorse, i pesci più diffusi sulle nostre tavole sono specie allevate (branzino, orata, rombo), pesci esotici (persico africano, pangasio, gamberi tropicali) e i cosiddetti “pesci-bistecca”, come tonno e pesce spada, facili da cucinare, ma fortemente sfruttati e inquinati.

Bisogna quindi bandire il pesce dalle nostre tavole? No! Basta seguire questi semplici consigli:

  1. Preferisci il pesce pescato. Molto spesso gli allevamenti sono intensivi, con impatti ambientali e sociali negativi: distruzione degli ecosistemi, inquinamento dovuto alle deiezioni, manipolazioni genetiche, pressione sulle specie selvagge, introduzione di specie non locali, uso intensivo di antibiotici e disinfettanti, sgretolamento delle comunità locali, ecc.. Inoltre per nutrire i pesci di allevamento, che spesso sono carnivori, si utilizza pesce pescato: un vero controsenso! Attualmente non sono note aziende di acquacoltura certificate nel nord Adriatico. Tuttavia si può considerare sostenibile l’allevamento dei molluschi, poiché di tipo estensivo e non richiede un elevato intervento dell’uomo e uso di risorse.
  2. Prediligi pesci a ciclo vitale breve, ovvero quelli che crescono e si riproducono velocemente. Si tratta di specie sicure per l’uomo, in quanto non hanno tempo di accumulare nelle loro carni elevate quantità di contaminanti e metalli pesanti. Garantiscono inoltre tutela ambientale, perché pescandoli della giusta taglia siamo certi che si siano già riprodotti. Infine, ma non per importanza, hanno costi davvero accessibili, permettendo così a chiunque di seguire i principi della Dieta Mediterranea.
  3. Scegli pesci di stagione e nostrani. Il pesce, così come la frutta e verdura, ha una propria stagionalità: è di stagione una specie che in un determinato periodo è ampiamente disponibile nei nostri mari e al momento della cattura non si trova in fase riproduttiva. Preferendo pesci di stagione non si rischia di interrompere il ciclo vitale e la proliferazione della specie e di vedere di conseguenza diminuire la sua disponibilità nelle stagioni future.Per la lista dei pesci di stagioni e nostrani del Mar Adriatico scarica il calendario.
    I pesci nostrani sono quelli di passaggio nei nostri mari; mangiarli evita di farne viaggiare altri, in aereo o su strada, per migliaia di chilometri. L’Adriatico è un mare estremamente ricco dal punto di vista biologico: ospita infatti il 49% di tutte le specie del Mediterraneo e produce il 50% della pesca italiana. Numerose sono le specie presenti, dal piccolo pesce azzurro ai tonni, dalle triglie ai branzini, ma anche prelibati crostacei (canocchie, scampi, mazzancolle) e molluschi (vongole, cozze, ostriche, calamari, seppie).Vale certamente la pena conoscere meglio i doni che il nostro mare può offrirci e prediligere sulle nostre tavole il pescato locale, certamente fresco, vario e salutare. Scopri  le specie ittiche tipiche del Mar Adriatico
  4. Cerca la giusta taglia. Per la maggior parte dei pesci, crostacei e molluschi esiste una taglia minima al di sotto della quale non possono essere catturati e commercializzati. Purtroppo queste norme vengono spesso ignorate sia dai pescatori che dai venditori e di conseguenza, anche se spesso inconsapevolmente, dai consumatori. Il consumo di pesci in età giovanile crea dei problemi per la conservazione degli stock ittici in quanto non permette a tali esemplari di riprodursi.  Scopri la tabella riepilogativa delle taglie minime in relazione alla specie.
  5. Sostieni metodi di cattura sostenibili. La pesca industriale, dotata di imbarcazioni grandi e potenti domina il mercato del pesce e impoverisce i mari, pescando in modo eccessivo e con metodi spesso distruttivi e poco selettivi: pesca a strascico e da traino, tonnara volante, palangaro derivante, draga turbo soffiante. Inoltre le navi da pesca industriali rigettano ogni anno milioni di tonnellate di pesce non desiderato (bycatch), in molti casi esemplari giovani. Al di là della pressione sugli stock, si tratta di un enorme spreco di cibo, sia per il consumo umano, sia per quello dei predatori marini. La pesca artigianale è invece l’attività di prelievo svolta da imbarcazioni di piccole dimensioni, esercitata da imprese familiari che teoricamente pescano nel rispetto delle regole, interagiscono in modo sostenibile con l’ambiente marino e contribuiscono allo sviluppo delle comunità costiere. La pesca artigianale è molto diffusa sul territorio italiano e utilizza metodi di cattura meno distruttivi quali le nasse, le reti da posta, i palangari di fondo, le reti a circuizione. I rigetti inoltre sono minori, grazie alla selettività specie-specifica degli attrezzi impiegati, garantendo una gestione responsabile delle risorse ittiche.

Guarda il video: Agire per una pesca sostenibile

Scarica la guida: Ok mangiamoli giusti.

Pesca sostenibile

Per valutare l’impatto di un prodotto alimentare occorre anche tenere in considerazione il suo packaging (termine inglese che sta per confezione, imballaggio): l’impatto varia a seconda del tipo di materiale ed è indubbiamente elevato per alcuni prodotti e per le bevande alcoliche od analcoliche imbottigliate. Tuttavia, occorrerebbe tener conto di come localmente vengono gestiti i rifiuti e quale grado di recupero o riciclaggio sia effettuato. Per esempio l’imballaggio più impattante è l’alluminio, a causa dei metodi di estrazione della bauxite. Tuttavia l’alluminio è totalmente riciclabile e in Italia il 90% dell’alluminio proviene dal riciclo. Inoltre è più leggero del vetro per cui se ne usa di meno.

In ogni caso, al di là del tipo di materiale, spesso c’è un abuso di packaging: gli imballaggi rappresentano circa un terzo di tutti i rifiuti, con elevatissimi costi per il loro smaltimento.

Le soluzioni al problema diventano spesso argomenti di accesi dibattiti. Mentre i consumatori responsabili vogliono che sia minimo come possibile (che significa completamente riciclabile), i produttori spesso ribattono che non vogliono che i loro prodotti inizino a deteriorarsi sullo scaffale o diventare un facile bersaglio per i taccheggiatori, e perciò mettono molti strati di involucro di plastica interamente  non necessari. E mentre alcune argomentazioni sono ragionevolmente accettabili, nella maggior parte dei casi la quantità di involucro  è inutilmente eccessiva. Abbiamo bisogno di tre strati di plastica per avvolgere una pillola? O, meglio ancora, involucri per lattine di coca cola?

Certamente una vita a zero rifiuti può risultare piuttosto complicata da condurre, tuttavia è qualcosa a cui dovremmo tutti aspirare se vogliamo continuare a vivere in equilibrio sul Pianeta nel prossimo futuro.

Per fortuna si fanno sempre più strada possibili alternative, anche perché, l’imballaggio è quanto di più monouso possa esistere, dato che una volta estratto il suo contenuto, diventa totalmente inutile e poco riutilizzabile. Ecco quindi che la tecnologia ha portato sul mercato imballaggi 100% biodegradabili e compostabili. Altre aziende hanno operato una politica di riduzione di imballaggio, rendendolo mono-materiale (tutta carta, tutta plastica, evitando materiale misto che spesso genera problemi di conferimento). La soluzione migliore ovviamente consiste nella progressiva eliminazione degli imballaggi, cosa che già avviene nei cosiddetti negozi “alla spina”.

Guarda il video: Vivere senza plastica

Guarda il video: L'incredibile storia di un sacchetto di plastica

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