Sfide del nuovo millennio

Benvenuti nell'Antropocene

Attualmente molti scienziati definiscono la nostra epoca Antropocene, l’epoca geologica nella quale l’essere umano è la causa primaria di cambiamenti permanenti del pianeta.  Abbiamo turbato e alterato il clima globale, acidificato le nostre acque, innescato l’estinzione di massa della biodiversità, trasformato gli ecosistemi su cui facciamo affidamento per la vita, inquinato vaste aree di terra e acqua, riproducendosi a un tasso di crescita demografica che richiede sempre maggiori quantità di risorse che vanno però esaurendosi.

Uno scenario desolante, in cui si fa strada sempre più il concetto di sostenibilità, al fine di garantire un futuro per le prossime generazioni.

Partiamo proprio dalla crescita della popolazione, perché è proprio qui che nascono i problemi. Dopo una crescita graduale per la maggior parte della storia umana, la popolazione della Terra è più che raddoppiata negli ultimi 50 anni. Secondo un rapporto del 2017 delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale attuale di 7,6 miliardi aumenterà secondo le previsioni a 8,6 miliardi nel 2030, 9.8 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100. Tra crescita demografica e sostenibilità c’è un rapporto intricato poiché la pianificazione familiare è – e dovrebbe essere sempre – una scelta privata che le persone fanno per proprie ragioni. Eppure, è indiscutibile che il numero degli esseri umani sul pianeta – insieme alla tecnologia a loro disposizione e il benessere economico goduto – sia fortemente correlato agli impatti antropici sull’ambiente.

Guarda il video: Antropocene, l'epoca umana trailer film

Utilizzo del suolo e disboscamento

Il modo in cui attualmente utilizziamo il suolo contribuisce in modo determinante ai cambiamenti climatici e sottopone i sistemi terrestri, da cui dipendono l'uomo e la natura, a uno sfruttamento insostenibile: in Italia negli ultimi 50 anni l’urbanizzazione è aumentata del 260%, in alcuni Paesi in via di sviluppo queste cifre sono ancora più alte.
Ma lo sfruttamento del suolo non si limita alla costruzione di case ed edifici: gli umani utilizzano circa il 72% della superficie terrestre libera dai ghiacci. L'uso del suolo contribuisce per il 23% alle emissioni totali di gas serra causate dall'uomo, principalmente attraverso la deforestazione, la conversione dell'habitat per l'agricoltura e le emissioni provocate dal bestiame.
La perdita di foreste, la conversione di torbiere e altri ecosistemi naturali rilascia carbonio, contribuendo allo stesso tempo a una perdita di biodiversità e a un degrado del suolo senza precedenti. Il solo settore alimentare è responsabile del 75% della deforestazione in tutto il mondo, soprattutto sulle foreste tropicali. È anche uno dei principali motori della conversione della savana e delle praterie. Il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di bovini destinati a fornire proteine animali all'Occidente ha distrutto in pochi anni milioni di ettari di foresta pluviale.
Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L'allevamento intensivo non ne è la sola causa, ma ne è la principale: per dare un'idea delle dimensioni del problema, si pensi che ogni hamburger importato dall'America Centrale comporta l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta.

E’ urgente un cambiamento radicale nel nostro uso del territorio, a cominciare dalla protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali e il passaggio a una produzione e un consumo alimentare sostenibili.

Guarda il video: La deforestazione: soia olio di palma, eucalipto

Consumo di energia

Il consumo mondiale di energia primaria, sia residenziale sia commerciale, aumenta proporzionalmente allo sviluppo sociale, economico e industriale dei Paesi emergenti e si aggiunge ai consumi, già consistenti, dei Paesi occidentali. L’anidride carbonica legata ai consumi energetici globali è aumentata dell’1,4% nel 2017, raggiungendo un nuovo massimo storico.

Il consumo di energia e le emissioni sono provocati da tre aree di utilizzo principali: il 30% è prodotto nell’industria, il 29% nei trasporti e il 24% dal comfort termico residenziale e commerciale. L’incidenza del comfort termico risulta particolarmente evidente in riferimento al consumo energetico residenziale: la domanda di riscaldamento nel settore immobiliare a livello globale rappresenta circa il 75% dei consumi finali complessivi e si riferisce soprattutto al riscaldamento degli ambienti.

Oltre all’aumento dei consumi, molto importante è la fonte che utilizziamo per ottenere l’energia: oggi le fonti non rinnovabili coprono ancora la maggior parte (circa il 74%) dei consumi mondiali d’energia. Si tratta quindi di risorse strategiche indispensabili per lo sviluppo economico dell’umanità, risorse che però hanno un impatto ambientale non sostenibile per il pianeta. L’utilizzo di tali fonti energetiche mette in pericolo la nostra stessa sopravvivenza perché producono fonti di inquinamento ambientale quali la produzione di gas serra o scorie radioattive che sono incompatibili con la vita umana.

L'industria agroalimentare

Che fame dopo un'intensa mattina di studio o lavoro! Certo, hamburger e bibita sono allettanti, veloci ed economici ma non sono certo ecosostenibili!

Purtroppo, le grandi catene di fast food, per garantire prezzi bassi, attuano politiche economiche in stridente contrasto con le esigenze ambientali: per produrre molta carne, servono molte mucche, che hanno bisogno di grandi pascoli, che vengono realizzati mediante deforestazione e cancellazione di colture pre-esistenti, spesso con l'appoggio di governi locali corrotti. Paghiamo pochi soldi per mangiare, ma il conto ambientale è salato. E lo stesso processo avviene per la grande distribuzione: grandi numeri, garantiti da colture ricche di agenti chimici che finiranno nei nostri piatti, dopo aver percorso magari migliaia di chilometri prima di arrivare sotto casa nostra.

Secondo un rapporto FAO, la nostra alimentazione ha un impatto sull’ambiente superiore a quello del settore industriale e dei trasporti. La causa è legata al massiccio consumo di carni: la filiera produttiva dell’industria delle carni, contribuisce fino al 22 % dei gas serra prodotti annualmente dalla terra. In altre parole, ogni anno, la produzione e il consumo di carne emette circa 8 miliardi di tonnellate di CO2. Nella foresta amazzonica, l’88% della foresta abbattuta è stata adibita a pascolo. L’animale d’allevamento, considerato come macchina che trasforma risorse vegetali in animali, è completamente inefficiente: servono 15 kg di vegetali per ottenere 1 kg di carne. Questo spreco di risorse causa, oltre che ovvi problemi sociali (disuguaglianza nella distribuzione delle risorse), anche gravi impatti sull’ambiente. Tra gli impatti sull’ambiente, uno dei maggiori problemi è costituito dal consumo di acqua. La maggior parte dell’acqua sul pianeta viene consumata per ottenere le produzioni foraggiere determinanti nel soddisfare la fame e nel mantenere l’attività gastrica dei ruminanti; per dissetare gli animali; per le operazioni di pulizia di stalle, sale di mungitura ed altro. Questo tipo di abitudini alimentari sono causa peraltro di un duplice problema di malnutrizione: nei Paesi poveri una malnutrizione dovuta alla mancanza di cibo e acqua; nei Paesi ricchi una malnutrizione dovuta a eccesso di proteine e grassi animali, che è oggi tra le principali cause di morte.

All’elevato impatto ambientale della produzione di certi alimenti si aggiunge anche il problema dello spreco di cibo:

  • 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti (⅓ della produzione mondiale complessiva) viene sprecato durante la filiera alimentare (non arriva nemmeno allo scaffale del supermercato).
  • 250 miliardi di litri di acqua vengono utilizzati per produrre il cibo sprecato. Questa quantità di acqua basterebbe a soddisfare il consumo domestico di acqua degli abitanti di New York per 120 anni.
  • 200 mila sono le persone che si sfamerebbero con il cibo sprecato dagli abitanti in Europa, zona in cui ogni persona mediamente butta nei rifiuti 95 kg di cibo all’anno.

Anche il consumo di pesce e di altri prodotti del mare è seriamente compromesso: molte popolazioni ittiche (stock) sono gravemente depauperati dalle attività di pesca, in particolare da una pesca sempre più industrializzata. Secondo le recenti stime, la quota globale degli stock ittici marini entro livelli biologicamente sostenibili è diminuita dal 90% nel 1974 al 69% nel 2013. Nel 2016, gli esperti scientifici hanno confermato che il 96% degli stock ittici del Mare Mediterraneo è in sovrasfruttamento. Inoltre, circa il 35% delle catture mondiali si spreca a causa della mancanza di attrezzature adeguate.

Guarda il video: il destino tragico di una fragola

Guarda il video: come mangiare per salvare il pianeta

Disponibilità delle risorse idriche

È bene ricordare che di tutta l’acqua presente sul pianeta, solo lo 0,003% è teoricamente utilizzabile e solo lo 0,001% circa è abbastanza accessibile. L’acqua non è equamente distribuita sul nostro pianeta. A questi ostacoli di tipo geofisico se ne aggiungono altri: il crescente numero degli abitanti del pianeta e l’incremento del benessere globale che fanno aumentare i consumi di acqua; i cambiamenti climatici; l’inquinamento causato dall’attività dell’uomo. Il prezioso liquido è sempre meno disponibile.

Il paradosso è che nei paesi poveri 2,1 miliardi di persone non dispongono di acqua “sicura” a casa, e 160 milioni di persone sono costrette a prelevare da stagni o ruscelli l’acqua che bevono; nei Paesi ricchi, invece viene sprecata tantissima acqua: l’Italia presenta il maggiore prelievo di acqua per uso potabile pro capite tra i 28 Paesi dell’Unione europea: 192 litri per abitante al giorno, e più della metà viene sprecata, spesso a causa dell’inadeguatezza della rete idrica.

Alla base dei prodotti che consumiamo è associato un importante consumo idrico, che non corrisponde solo all’acqua contenuta fisicamente prodotto, ma anche a quella consumata per realizzarlo durante le fasi della sua produzione, compresi i trasporti e gli imballaggi. Questo consumo d’acqua è noto col nome di acqua virtuale o anche Waterfootrpint, ossia impronta idrica. Grazie a uno studio del Water Footprint Network, per ogni prodotto è possibile calcolare l’impronta idrica. Un esempio è il grano, che a livello globale consuma circa 790 miliardi di m3 all’anno di acqua.  Da ciò è possibile calcolare l’impronta idrica di 1 kg di grano che è pari a 1.300 litri di acqua virtuale, mentre l’impronta idrica di una fetta di pane di 30 g è pari a 40 litri.

Tutto ciò aumenta notevolmente la sfida alla sostenibilità, e se le cose continueranno così, l’acqua, chiamata oro blu, sarà causa di massicce migrazioni e guerre.

Guarda il video: Il consumo d'acqua

Produzione di rifiuti

Da quando è nata l’industria del grande consumo, uno dei più grandi problemi che si è venuto a creare è quello della gestione dei rifiuti, soprattutto dopo la scoperta del petrolio e la sintesi delle plastiche e delle carte che hanno consentito la diffusione di utensili monouso.

L’enorme produzione di questi materiali usa e getta è dovuto anche ad un miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie in quanto, in passato, l’uomo usava e riusava gli oggetti finché non fossero completamente inutilizzabili e, nel caso in cui si rompessero, venivano riparati, perché comprare lo stesso oggetto era troppo costoso.
Questa politica del risparmio garantiva una scarsa produzione di rifiuti e quindi pochissimi problemi ambientali e salutari. Nella società odierna, invece, l’ambiente e l’ecosistema sono compromessi a causa dell’enorme quantità di rifiuti, il cui smaltimento diventa sempre più difficoltoso e quasi impossibile da organizzare.

Consumiamo, gettiamo, compriamo, consumiamo e gettiamo di nuovo; ma non pensiamo a quanti rifiuti produciamo in un mese o in un anno.

Ebbene questi sono i numeri: la produzione mondiale media pro-capite di rifiuti è stimata intorno ai 3.38 Kg al giorno. La composizione media del rifiuto urbano consiste soprattutto di materiali organici, carta e cartone (imballaggi), plastica, vetro e metalli.

A livello europeo la produzione di rifiuti pro-capite si aggira intorno a 1.6 Kg al giorno e Irlanda, Lussemburgo, Danimarca, Spagna e Olanda sono tra i paesi che maggiormente ne producono. In Italia tale valore scende mediamente a 1.4 Kg di rifiuti all’anno pro-capite; il centro e il nord del paese sono i maggiori produttori di rifiuti ed in particolare le regioni della Toscana e dell’Emilia Romagna poiché sono proprio quelle che registrano una maggiore presenza di turisti ogni anno.

Tutto il mondo è invaso dai rifiuti, persino sul monte Everest! E abbiamo lasciato rifiuti pure sulla Luna.

I rifiuti rappresentano una minaccia tutti gli ecosistemi, inclusi mari e oceani: danni alla diversità biologica e alla qualità dell’ambiente marino, inquinamento della falda acquifera, soffocamento e ingestione da parte degli animali, rilascio di sostanze nocive anche per la nostra salute.

Guarda il video: Trash me

Guarda il video: Fonti e impatti dei rifiuti marini

Guarda il video: Dalla parte del mare

 

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